Ammettiamolo: vivere in un contesto sociale vessato dalle piaghe del qualunquismo e della negligenza umana propagata con regolarità in tutti i settori, dalla politica all’ambientalismo, ha reso ognuno di noi complice sottobanco di questa distopia prostrante.
Non siamo ancora ai nefasti livelli di 1984, sia chiaro, ma l’occhio orwelliano ha già iniziato a spiarci, famelico e saccente, pronto a vincere la sua scommessa su un’umanità smaniosa di infradiciarsi con le sue stesse mani.
Del resto smentirlo è pressoché impossibile, basta concedersi una rapida panoramica della fatale attualità che ci circonda per realizzare che stiamo invocando il Big Brother all’unisono, tra presidenti convinti che l’inquinamento sia una frottola made in China, preti accusati di pedofilia all’alba di quasi tutti “i giorni dopo”, guerre in nome del dio profitto beneficiarie di finanziamenti anche in condizioni di estrema povertà (interessante controsenso, vero?) e attentati o presunti tali fomentati dall’odio e da quell’ottimo cane da guardia al servizio dei potenti chiamato insoddisfazione. Insomma, di pretesti sine qua non per l’insediamento del fratellone socialista ce ne sono a iosa: Corea del Nord docet.
Eppure, probabilmente a causa di un’eredità umanistica che si sta estinguendo nelle nuove generazioni, quasi del tutto prive di empatia e di creatività (mi riferisco alla creatività genuina, quella guidata dal sacro fuoco dell’arte e dall’amore per la conoscenza), le grandi menti illuminate ci offrono un ultimo barlume di speranza.
Uno di questi intelletti risolutivi appartiene al regista e fumettista giapponese Hayao Miyazaki, autore di capolavori d’animazione che spaziano dal naturalismo al romanticismo, dal realismo all’onirismo e che possono essere definiti, a ragion veduta, senza precedenti. Tuttavia, più che sulla questione stilistica, peculiare ma abbondantemente analizzata, è opportuno soffermarsi sulle scelte tematiche e sulla decodificazione del messaggio, profondo e vitale, che Miyazaki intende trasmettere allo spettatore.
Un messaggio di pace e speranza che emerge dai contesti umani più catastrofici, strutturato per giungere persino al peggior sordo, quello che notoriamente non vuol sentire.
Nessun fruitore attento, infatti, rimarrà immune all’intelligenza emotiva di cui sono dotati i protagonisti delle storie ghibliane, vittime di una disumanità abietta che ha stravolto i loro equilibri naturali, né si sottrarrà all’ancestrale riflessione sul bene e sul male.
Già, perché se si vuole evitare che il secondo abbia la meglio sul primo è necessario estirparlo dalle radici, non tollerarlo secondo scelte di comodo che garantiscono una tranquillità momentanea ma logorante.
Miyazaki ci costringe a guardare in faccia i cattivi e a fare i conti con una verità che non ci piace per niente: i cattivi siamo noi.
Un colpo basso che orchestra in modo magistrale nel film La città incantata (2001) mostrando che al mondo non c’è più posto per l’ingordigia umana, metaforicamente associata a un banchetto grottesco, e che la natura ha sempre la forza di prendere il sopravvento.
Proprio nella natura, infatti, si trova la chiave di salvezza o, meglio, l’antidoto alle realtà distopiche in cui sono costretti a vivere i protagonisti.
Pertanto da Nausicaä della Valle del vento (1984) a Principessa Mononoke (1997) e Il castello errante di Howl (2005) il filo conduttore è lo stesso: la provvidenziale empatia con la natura.
Se non si è in sintonia con l’ambiente si finisce per essere schiacciati dallo stesso e le leggi della natura non ammettono mediazioni.
Ecco perché la temeraria figlia del bosco Mononoke detesta gli esseri umani, pur appartenendo alla loro specie, ed è disposta a sacrificare la sua vita pur di arrestare le usurpazioni dei suoi simili.
Lo stesso discorso vale per Howl, eremita stremato dalla guerra, costretto a trasformarsi in uccello per fronteggiare le numerose battaglie, che troverà la redenzione nell’amore e, una volta restaurata la pace, potrà tornare definitivamente umano.
Nausicaä è forse l’eroina più emblematica di questo conflitto incessante tra bene e male, tra natura e uomo, tra inquinamento ed ecologia: in un pianeta distrutto dalla guerra termonucleare, la principessa della Valle del Vento e i pochi superstiti devono contrastare l’espansione della Giungla tossica che rischia di inglobare gli ultimi ambienti non contaminati.
Tra la violenza e la paura, il coraggio di Nausicaä e il suo amore smisurato nei confronti di ogni essere vivente avranno la meglio, restaurando epicamente gli antichi equilibri e riconquistando la tanto agognata sintonia con la natura.
Dunque la salvezza è ancora possibile, purché l’audacia e il confronto vincano sullo scetticismo e sulla pigrizia morale. Miyazaki ci ammonisce e ci incoraggia allo stesso tempo, obbligandoci a fronteggiare i “mostri sociali” per lasciare spazio al potenziale umano latente, oggi quanto mai necessario. Concludendo, l’ingegno potrà sempre scongiurare l’insediamento di una società distopica purché questo mantenga una connotazione profondamente umana e naturale.