Dopo più di trent’anni, l’attesa è finita. La forza, il campo di energia generato da tutti gli esseri viventi che pervade l’universo e tutto ciò che esso contiene, si è risvegliata. L’Italia insieme alla Francia, ha avuto la fortuna di vedere il settimo capitolo della Saga di Guerre Stellari in anteprima rispetto al resto del mondo. Diretto da J.J. Abrams Star Wars il risveglio della forza è un film bello sotto tutti I punti di vista. La storia inizia esattamente 30 anni dopo gli eventi di episodio VI, Il Ritorno dello Jedi, e vede come protagonisti la nuova generazione degli abitanti della galassia lontano lontano, creata dalla geniale mente di George Lucas.
Il regista, ampiamente criticato in passato per sia il suo stile visivo che narrativo, sembra aver appreso dal passato regalando al pubblico un piccolo gioiello cinematorgrafico. Ma non è solo questo. Il Star Wars Risveglio della forza ha indubbiamente catturato il gusto e lo spirito della trilogia originale, creando una storia credibile e mai lenta, con una narrazione azzeccata e personaggi così ben delineati da ricalcare fedelmente la struttura creata nel primo film della prima trilogia. Innumerevoli sono I riferimenti grafici alla trilogia originale che rendono questa pellicola un pieno successo.
Non di poco conto è anche la presenza sul grande schermo di tutti I personaggi originali, eccezion fatta per Obi Wan Kenobi, e la loro presenza e ruolo sono così ben curati da renderli credibili fin da subito.
Per i Nerd, Star Wars Episodio VII Il risveglio della forza, il voto è di 5 occhiali su 5
E’ guerra in The Hunger Games: Il canto della Rivolta, parte 2, e nel film si sente il peso di mostrare la battaglia per Capital City in ogni istante dei suoi 137 minuti di esecuzione. La storia riprende immediatamente dopo la conclusione della prima parte e non perde molto tempo a raccontare cosa è successo precedentemente a chiunque si affacciasse solo ora al franchise. Mentre la parte 1 esplorava l’uso della propaganda di guerra e la politica attorno ad una ribellione,questo è a tutti gli effetti un film di guerra. In Il canto della rivolta, parte 2 si sente la necessità di dare forza e credibilità a tali contenuti, e, anche se si tratta di un film solido, è anche il più difettoso della serie.
“Parte 2” inizia esattamente dove l’ ultimo film si interrompeva, con Katniss (Jennifer Lawrence) e il resto delle forze ribelli ad un passo dall’Attacco finale nei confronti di Capital City e del governo di Panem e soprattutto del suo leader: il presidente Snow (Donald Sutherland). Come con in molti franchising moderni, questa pellicola abbonda con un rostro di attori ormai veterani della saga, che in questa circostanza più che da supporto sembrano essere una zavorra per la narrazione, tra cui l’insipido duo di Peeta (Josh Hutcherson) e Gale (Liam Hemsworth) – i due contendenti amorosi di Katniss fin dal primo film.
Come i precedenti due film , Parte 2 è stato diretto da Francis Lawrence che , come la maggior parte registi di franchising, non è stato assunto per le sue qualità di messa in scena, ma per un lavoro: non rovinare una proprietà di grande valore. Il primo film è stato, infatti, diretto da Gary Ross , con la fotografia di Tom Stern, anch’egli rimpiazzato con il cambio di regista. E, ne il Canto della rivolta parte “ vediamo una storia che non prova a trovare un risvolto psicologico o un empatia con il pubblico. Il tutto risulta essere un apoteosi di effetti speciali senza un vero perché. Ma è questo il problema. Parte 2 non sarebbe mai dovuto esistere come titolo a sé. Le due parti de Il canto della rivolta sarebbero dovuti essere un film solo. Il bisogno Hollywoodiano di “fare più soldi”, così come in altri franchising a parte Hunger Games, sta portando a sventrare le storie in favore del dollaro, producendo gradualmente pellicole sempre più insipide, a meno che non vengano viste tutte di fila.
In definitiva Il canto della Rivolta, parte 2 ottiene prestazioni convincenti dal suo impressionante cast, ma si sente anche un senso di oppressione legato alla gravità della sua storia. Il film si concentra su Katniss come un modo per descrivere gli orrori e i danni che genera la guerra. Piccolo appunto va fatto sul un semplice dato, questo è di fatto l’ultimo film di Philip Seymour Hoffman, cosa che molti hanno dimenticato. La scomparsa prematura dell’attore viene avvertita nel corso della storia, che comunque, grazie ad un semplice stratagemma riesce a sopperire a tale mancanza. La storia tutto sommato è abbastanza semplice e offre una conclusione relativamente soddisfacente per The Hunger Games, che tuttavia non ispira la stessa meraviglia dei primi due capitoli.
C’è stata molta polemica sul nuovo capitolo della saga di 007 dalla canzone usata per i titoli di testa di Sam Smith (Writing’s On The Wall) bravo ma con un timbro vocale piuttosto insolito (che per molti non regge il confronto con la Skyfall di Adele); a Bond stesso, Daniel Craig ha dichiarato che avrebbe preferito tagliarsi i polsi piuttosto che interpretare nuovamente la spia più famosa del cinema. La paura e il conforto dei fan era proprio il regista Sam Mendes, già regista di Skyfall. La paura era legata al titolo stesso, in questo nuovo ciclo di rilancio di un franchise apparentemente indistruttibile, il Regista ha scelto un titolo veramente d’effetto: Spectre! Nei vecchi film di 007, il mondo e quindi James Bond, avevano un nemico terribile quanto invisibile: La SP.E.C.T.R.E. (acronimo di Special Executive for Counter-intelligence, Terrorism, Revenge and Extortion), in questa nuova veste la fantomatica organizzazione perde il suo acronimo e diventa una sorta di multinazionale del crimine, dove non mancano le riunioni del consiglio d’amministrazione, che sotto certi punti di vista non risulta difficile credere che sia simile a quelle realmente tenute dalle grosse multinazionali. Eppure Spectre è un film che rispetta la ricetta di un film di bond al 100%: location ricercatissime, riprese in giro per il mondo (Londra, Roma, Tangeri), acrobazie spettacolari, intrighi impossibile, cambi di costume inconcepibili, l’elemento comico (accomunate al bravissimo e giovanissimo Ben Whishaw nel ruolo di Q) e una trama che è allo stesso tempo assolutamente assurda eppure stranamente soddisfacente, il tutto condito con tecnologia avveniristica.
Nel film un messaggio criptico dal passato, manda Bond sulla strada per scoprire una misteriosa e sinistra organizzazione. Mentre M combatte le forze politiche per mantenere in vita i servizi segreti e il programma 00, Bond si ritrova a dover scavare dietro una fitta rete di inganni per rivelare una terribile verità.
Daniel Craig nel ruolo di Bond (scelta che chi scrive non ha mai digerito) è gradevole, pur interpretando un bond più casinista che gentleman, ma Craig viene accompagnato da un cast di tutto rispetto Ralph Fiennes è Gareth Mallory, il nuovo M, Naomie Harris è Eve Moneypenny, segretaria di M., Léa Seydoux è Madeleine Swann, psicologa in una clinica privata sulle Alpi e figlia di Mr. White (dal film Quantum of Solace), Dave Bautista è Mr. Hinx, assassino e membro importante dello SPECTRE. Appunto doveroso va al bravissimo Christoph Waltz, che interpreta Franz Oberhauser, una misteriosa figura all’interno di SPECTRE che afferma di avere un legame personale con Bond.
Ma la nota dolente (per me) è Monica Bellucci, che interpreta il ruolo di Lucia Sciarra, la vedova di un criminale ucciso da Bond, per fortuna, la Bellucci rimane sullo schermo per poco meno di 10 minuti. La pellicola è un omaggio moderno al più classico James Bond. Pieno di riferimenti al ai film interpretati da Sean Connery e Roger Moore. Contemporaneamente però non mancano gli omaggi a Cristopher Nolan grazie anche al supporto di Hoyte Van Hoytema, già direttore della fotografia per Insterstellar. E’ pressoché certo che Daniel Craig non tornerà a vestire i panni di James Bond, se questa fosse effettivamente la sua ultima volta, questa pellicola sarebbe il perfetto epilogo per un ciclo narrativo che, a torto o ragione ha effettivamente fatto risorgere, per il nuovo millennio, il mito di 007.
Ci sono tante certezze, forse dovute alle miriadi di cliché a cui ci hanno abituati, che sono entrate nelle teste di noi videogiocatori.
Dalle trame a volte troppo scontate – la principessa la salviamo sempre, dopotutto – al fatto che , quasi sempre, il fuoco batte l’erba e via dicendo.
Ma su una cosa siamo ancora più certi: per quanto sia bravo il buon Renzo Piano, le città videoludiche non le batte nessuno, specialmente se gli “ingegneri” e gli architetti di turno sono quelle teste fantasiose dei giapponesi.
Rapture, Imperial City, Gotham e così via; insomma, tutte città stra famose e con quel quid di epico e grottesco ma che spesso, sia per l’atmosfera che per la struttura, non possono che soccombere innanzi a quelle metropoli, quei castelli fortezza, quei pittoreschi villaggi che ritroviamo dentro i giochi di ruolo in salsa nipponica.
Avremo tanti di quegli esempi da fare che ci perderemmo sicuramente di casa.
Dalla semplicità quasi elementare di Pallet Town allo squallore e la tristezza di Midgar; le città nei JRPG sono di solito interessanti, memorabili e – cosa più importante – stracolme di credenze legate alle vicende ed al folklore del titolo alla nostra mercé, pronte per essere scoperte ed assaporate.
Cari Nerd, non siamo qui per fare un elenco nostalgico delle migliori città presenti nei GDR nipponici, ma per metterci il cuore in pace e cerca di eleggere la MIGLIOR CITTA’ dei classici giochi di ruolo giapponesi e vi assicuro che non è per nulla facile.
Mi spiace davvero per Midgar, ma non sei tra le mie preferite. Mi spiace anche per
Fourside, Rabanastre, Zelo, Inaba, North Window Castle e tante, tante altre.
Personalmente di Lindblum, essendo stata la città che ha segnato la mia infanzia, ma come vi ho già detto dobbiamo essere oggettivi ed imparziali.
Al primo posto troviamo una nostra vecchia conoscenza: Etrenank (conosciuta anche come la capitale di Solaris) presente in Xenogears, gioco della Square dove potete anche leggere la nostra recensione.
Non si potrà visitare Etrenank fin da subito, ma dopo molte ore di gioco e di sudore, ma quando si varca le sue porte si rimane davvero soddisfatti del tempo perso per arrivarci. Combattendo per ore ed ore contro gli enigmatici e misteriosi agenti di Solaris, passo dopo passo scopriremo che questa città tecnocratica, che fluttua nel cielo nascosta da ogni sorta di visita da parte dell’uomo, è stata per generazioni la fonte primaria di tutto il male che attanaglia il microverso di Xenogears. Una volta che smantellerete le porte principali della città-fortezza e riuscirete a penetrare al suo interno, scoprirete l’inferno che si cela dentro questa splendida – in apparenza – struttura.
Ad Etrenank la gravità è invertita e tutti vivono, praticamente, a testa in giù. Inoltre, scoprirete che Solaris è una società dispotica, tecnocratica in cui l’élite prescelta di cittadini (detta di prima classe) impone il lavaggio del cervello, la schiavitù e la sottomissione delle “classi inferiore” attraverso un sistema tirannico basato non solo su caste, ma anche su codici ID e droni di sicurezza che separano con la forza le classi. I cittadini di terza classe vivono in un vero e proprio alveare che lasceranno solo quando verrà per loro il momento di lavorare.
Se parlano o si lamentano, verranno uccisi senza pietà dai droni di sicurezza.
Durante l’esplorazione Etrenank, ci faremo strada passando dal miserabile blocco di terza classe, fino alle sontuose e sfarzose abitazioni dei cittadini di prima classe, i quali vivono sulle spalle di chi sta sotto di loro – un’amara metafora che ci riporta in mente alcune ideologie storiche già viste e sperimentate, non è così?! – arrivando perfino a cibarci di una particolare bevenda fatta con gli scarti dei mutanti di Solaris – raccapricciante.
Cari lettori, spero di aver reso davvero l’idea di ciò che questa contorta città ha da offrire: tunnel e passaggi segreti da visitare, un palazzo imperiale colmo di segreti contorti da estrapolare parlando con il sovrano e la sua corte, giochi di potere e quella perenne sensazione che ti fa venir voglia di continuare a scavare in profondità nella trama del titolo.
Tutto ciò potrebbe bastare – gusti ed opinioni personali a parte – per incoronare Etrenank come miglior città presente in un JRPG. Certo, probabilmente non vorreste mai vivere lì, ma il fascino e la grandezza di un videogioco sta anche nel ricreare dei luoghi splendidi e visivamente incantevoli, ma che riescono al contempo ad evocare nel giocatore nausea e terrore.
Questo è ciò che rende così interessante questa terribile città: suscitare emozioni in un modo che poche altre città sanno fare.
Eccoci ad Halloween, e quindi vi proponiamo la nostra scelta sui migliori film horror, da guardare per farvi gelare il sangue nelle vene. Ricordate, portate sempre con voi, pallottole d’argento, un crocefisso una pistola e il numero dei Ghostbusters non si sa mai.
10. “Poltergeist” (1980)
Regia: Tobe Hooper
La famiglia Freeling , una tipica famiglia della classe media vive nel tranquillo Cuesta Verde Estates. Presto cose strane cominciano ad accadere intorno alla casa ; il canarino animale muore , tempeste misteriose accadono , e Carol Ann è convocato al televisore , dove una strana raggio di luce verde la colpisce e provoca la stanza a scuotere . “Sono Quiiiii!”. Mai guardare la tv troppo vicini, e mai sopra un cimitero indiano!
9. “La notte dei morti viventi ” (1968 )
Regia: George A. Romero
Un gruppo di persone cercano di sopravvivere un attacco di zombie assetati di sangue mentre sono intrappolati in un casale rurale della Pennsylvania . Anche se non è il primo film di zombie , La notte dei morti viventi è il progenitore della “apocalisse zombie”. Un film horror contemporaneo che ha influenzato notevolmente la cultura pop moderna e gli archetipi sugli zombie.
8. “Psycho” ( 1960)
Direttore: Alfred Hitchcock
Quando Marion Crane, disonesta impiegata di un agenzia immobiliare fugge con una mazzetta di denaro e la speranza di iniziare una nuova vita, incappa nel famigerato Bates Motel , dove il direttore Norman Bates si prende cura di sua madre in casa. Il posto sembra strano, ma va bene … fino a quando Marion decide di fare una doccia. Anche grazie a questo film la doccia non ce la facciamo più tranquilli.
7. “Halloween” ( 1978)
Regia: John Carpenter
Un assassino psicotico internato fin dall’infanzia per l’omicidio di sua sorella , fugge e inizia a stalkerare una ragazza amante dei libri e le sue amiche, mentre il suo medico lo insegue. Dopo questo film i coltelli da cucina non sono più stati gli stessi
6. “The Cabinet of Dr. Caligari” (1920)
Regia: Robert Wiene
Un ipnotizzatore folle usa un sonnambulo, richiuso in una cassa da morto, come “veggente” e strumento per commettere efferati omicidi. Considerata l’opera d’arte per eccellenza del cinema espressionista tedesco e anche il primo film horror della storia. 6. “Lasciami entrare” (2008) Regia: Tomas Alfredson Un ragazzino di 12 anni fa amicizia con una misteriosa ragazza giovane la cui apparizione in città coincide stranamente con una serie terrificanti omicidi. Uno schiaffo a chi dice che gli svedesi non sanno fare gli horror
4. “Rosemary’s baby ” (1968)
Regia: Roman Polanski
Una giovane coppia si trasferisce in un appartamento in un famoso edificio di New York per metter su famiglia. Le cose diventano spaventose per Rosemary quando la donna comincia a sospettare che il suo futuro bambino non sia al sicuro attorno a quegli strani vicini. Dopo questo film nessuno chiede più dello zucchero ai vicini.
3. “Non aprite quella porta” (1974 )
Regia: Tobe Hooper
Cinque amici in visita a casa del nonno in campagna, vengono braccati e terrorizzati da un assassino armato di motosega e dalla sua famiglia di cannibali e tombaroli. Mai fidarsi dei contadini, specialmente se hanno una sega elettrica o un maschera di pelle.
2. “Shining” ( 1980)
Regia: Stanley Kubrick
Jack Torrance accetta un lavoro come custode presso l’Overlook Hotel, dove , insieme con la moglie Wendy e il loro figlioletto Danny, devono vivere isolati dal resto del mondo per l’inverno. Ma la famigliola non è preparata per la follia che si nasconde all’interno. «Lavorare soltanto e non giocare rende Jack un ragazzo noioso» REDRUM!!!
1. ” L’esorcista” ( 1973)
Regia: William Friedkin
Regan MacNeil, 12 anni, comincia ad avere atteggiamenti di una nuova personalità mentre strani eventi accadono nell’area di Georgetown. La madre divisa tra la scienza e la superstizione, in un disperato tentativo di salvare la figlia, si rivolge come ultima speranza a Padre Damien Karras, un sacerdote tormentato che sta lottando con la propria fede.
C’è poco da dire, ma non sono mai stato un Pc gamer. Ne capisco molto poco di settaggi, Direct X, schede video e tutto il resto.
Sono un gamer comodista e preferisco la “pappa pronta” che ci rifilano le big del mercato videoludico ogni sei anni circa – con le dovute limitazioni e le tecnologie obsolete, certo.
Ma in quelle scatolette ci trovo qualcosa di magico. Certamente saranno le migliaia di ore che abbiamo passato davanti a loro con il joypad in mano.
Che siano grigie, nere, blu, a forma di kit kat e di videoregistratore – si la Xbob One mi ricorda un registratore degli anni ’90 – sapranno sempre farci felici, poco ma sicuro.
E poi non dimentichiamo che le console stesse sono state oggetto di centinaia di trovate commerciali di ogni tipo.
Non parliamo solo di bundle, ma di edizioni limitate che hanno veramente lasciato il segno nella storia del mercato del videogioco.
Che siano anniversari, trovate di lancio per titoli specifici o semplicemente stravaganze fine a sé stesse, le console in limited edition hanno il loro fascino, anche a distanza di molti anni.
Vediamo adesso una piccola top 5 delle migliori – o, se volete, più originali – edizioni limitate delle più famose console del mercato.
Famitsu Skeleton Game Boy Light
Sicuramente un pezzo più unico che raro, lo Skeleton Game Boy Light altro non è che la versione giapponese del Game Boy Poket retroilluminata.
Questo stravagante modello di Game Boy è stato distribuito dalla famosa rivista Famitsu e conta un numero di 5000 modelli prodotti (ognuno con il numero di serie in bella vista).
La console portati di casa Nintendo è reperibile su eBay (da privati, ovviamente) per un costo medio di $300.
20th Anniversary PS4
Non sarà nulla di particolarissimo, ma brilla sicuramente per un fattore: NOSTALGIA.
Vedendo una PS4 vestirsi con quell’inconfondibile grigio ed accompagnato dal primo logo usato dalla Sony per la console, non possiamo che ricordare i bei vecchi tempi trascorsi con la sua capostipite – specialmente se abbiamo anche la lucidità di renderci conto che sono passati ben venti anni.
I pezzi di questo gioiellino ammontano 12.300 proprio per ricordare la data di lancio della prima Playstation, il 3 dicembre.
Questa limited viene venduta in privato per circa $2.000.
Pikachu Nintendo 64
Un simpaticissimo bundle targato Nintendo ha omaggiato il più famoso fra tutti i Pokémon: Pikachu. UnNintendo 64 dal colore blu elettrico – o arancione per il mercato nipponico – e con il topo giallo sulla parte destra della console.
Particolarità davvero accattivante per gli amanti del brand sono il tasto fisico di accensione a forma di pokeball ed due simpatiche lampadine che illuminano le guance del pokémon.
La console è reperibile in rete (sempre con acquisto in privato) per un costo medio di $100.
Xbox 360 Slim – Bundle Star Wars Kinect
Per gli amanti della saga di Lucas, il bundle delle Xbox 360 con Star Wars Kinect è un must imperdibile.
Al suo interno, oltre al gioco, possiamo trovare una Xbox in stile R2D2, con rifiniture che richiamano i colori e le aerografie del simpatico robottino, il tasto di accensione che riproduce i suoi versi (con tanto di led celesti), una scritta all’interno del vano DVD con inciso “HELP ME OBI WAN KENOBI, YOU’RE MY ONLY HOPE” – per una mante della serie, è il vero tocco di classe – ed un joypad color oro cromato che richiama C3PO.
La console è reperibile sul mercato al costo di $500.
Divers 2000 Sega Dreamcast
Questo è sicuramente il sistema di intrattenimento più starno – ed ingombrante – mai visto.
Si tratta di un televisore ed una Dreamcast insieme. Il prodotto è stato venduto solamente in Giappone ma presenta un design degno di nota, con luci nella parte posteriore che si accendono ad intermittenza ed una forma in stile futuristico-minimalista – non saprei come descriverla a parole, in effetti.
La console/tv è la più cara tra quelle elencate, essendo venduta in privato con prezzo che super i $4000.
Quando Chris Evans ha annunciato di non volersi più ritirare dalle scene perché ama lavorare per la Marvel , la maggior parte dei fan ha probabilmente pensavano: Ma vah!? Dev’essere fantastico vestirsi da supereroi e fare scazzottate epiche sullo schermo, ed essere pagati profumatamente per farlo, giusto? Difficile è invece credere che ci siano diversi attori che odiano essere parte dell’universo cinematografico Marvel. Ecco uno sguardo a questi matti.
Idris Elba
Quando Elba apparì per la prima volta nei panni di Heimdall in Thor , era un attore rispettato, ma non è esattamente un nome familiare. Ora, è così abbastanza grande che i fan stanno spingendo per fare di lui il prossimo James Bond. E con grande fama derivano grandi irritazione per essere contrattualmente obbligati a fare cammei nei film Marvel come Avengers: Age of Ultron. Descrivendo l’esperienza come “tortura”, ha detto al Telegraph che ” Ri-vestire i panni di Heimdall mi ha strappato il cuore.” Va bene allora.
Natalie Portman
Elba non è l’unico attore uscito da Thor inacidito con la Marvel. Secondo le cronache, la Portman ha quasi dato di matto, dopo che il regista (da lei scelto) Patty Jenkins, è stato licenziato da Thor: The Dark World. In realtà, è stato ampiamente riportato che la Portman voleva lasciare le serie interamente in segno di protesta, ma era contrattualmente obbligata a finire il film. Non è stata vista in alcun film Marvel da quel momento, nemmeno per un cameo.
Edward Norton
Il primo e la più grande star a divorziare con la Marvel è stato Norton, che ha interpretato il ruolo di Bruce Banner in L’incredibile Hulk. A differenza di Elba e della Portman, però, le differenze creative di Norton con la Marvel si sono dimostrate così gravi che lo Studios in sé ha deciso di scaricare Norton. Fortunatamente per noi, lo hanno sostituito con l’amabile Mark Ruffalo, mentre Norton ha recitato invece in successi indipendenti come Moonrise Kingdom. Questa è una rottura che ha giovato più meno a tutti.
Mickey Rourke
Rourke ha anche sentito la stretta di quelle infami differenze creative. E di sicuro non ne era felice. Dopo che gran parte della sua parte nel film Iron Man 2, realizzata con una bella prova di improvvisazione, da parte di Rourke stesso, è finita sul pavimento della sala di montaggio, Rourke ha iniziato a dire peste e corna della Marvel. Ha dichiarato la sua rabbia per aver “qualche dirigente nerd” della Marvel che sforna “insensati film sui fumetti” invece di valorizzare il suo genio recitativo. Anche oggi, anni dopo, Rourke non perde occasione di inveire sulla Marvel. Lascia perdere e va avanti, compagno .
Terrence Howard
Howard è stato uno dei costruttori dell’impero Marvel, essendo cast del film Iron Man, diventato poi un successo planetario. Eppure, Dal secondo capitolo in poi il ruolo di Howard è stato interpretato da Don Cheadle . Perché? Secondo Howard , è perché la Marvel lo derubato di 7 milioni di dollari, che sono stati incanalati nel chacè di Robert Downey Jr. Howard successivamente, ha mandato lo Studios a quel paese e ha rescisso il contratto. Obbiettivamente non gli si può dare tanto torto.
Jason Statham
Questa è una situazione particolarmente pazza, perché , Statham non fa nemmeno parte dell’universo cinematografico Marvel! Ma dopo il suo nome è stato suggerito per il ruolo di Bullseye nella prossima seconda stagione di Daredevil , Statham si è scagliato contro la Marvel. “Preferirei prendere mia nonna metterle un mantello addosso e farla recitare davanti uno schermo verde, e avere uno stuolo di controfigure per farle fare tutte le azioni”. Non siamo sicuri quando l’ultimo blockbuster della Marvel “La nonna in mantello” uscirà nei teatri , ma francamente , non vediamo l’ora di vederlo .
L’atmosfera di Crimson Peak, a partire dall’ambientazione, per passare ai costumi, alle interpretazioni, per poi finire ai crepitii e alle passioni sessuali celate e oscuri segreti, rende questa pellicola un piccolo gioiello di arte cinematografica. Ci sono un paio di mostri (soprannaturali e non), ma le gigantesche emozioni, che spingono ogni singolo personaggio, sono la cosa più terrificante sullo schermo.
Oggi il genere Horror è diventato un prodotto per persone impazienti, ma Crimson Peak non è decisamente un film affrettato. L’ultima fatica del regista messicano seduce con un gusto erotico e macabro, che si fonde perfettamente con il melodramma di base del racconto.
Per questo motivo, Crimson Peak risulta essere un perfetto romanzo gotico moderno. La pellicola è un pezzo impeccabilmente recitato e splendidamente girato. Guillermo del Toro ha consegnato un’altra opera di genio. La trama ruota intorno a Edith (Mia Wasikowska), che è affascinata dal Baronetto Thomas Sharpe (Tom Hiddleston). Dopo essersi sposati, Edith scopre che i fratelli Sharpe potrebbero nascondere alcuni inquietanti segreti. L’unica nota realmente negativa del film sono I fantasmi stessi, che diventano, nel racconto, solo una mera premessa narrativa.
Jessica Chastain e Mia Wasikowska si guadagnano il diritto di imporsi su “palcoscenico” del film. Tom Hiddleston crea un personaggio soave che, anche se sembra reticente e a volte distante. Jessica Chastain (Lucille, la sorella) interpreta magistralmente un personaggio a dir poco snervante. Lucille ha palesemente un’aria sinistra, che è accompagnata anche da un vestito scuro, quasi fosse un suo marchio di fabbrica. In contrapposizione ai due “fratelli”, Mia Wasikowska come la protagonista femminile è piuttosto timida, ma in fin dei conti non è affatto malvagia, anche se in alcuni momenti non riesce a trasmettere il terrore che a parole prova. Per i Nerds è 3 occhialini su 5.
Se ci chiamano “nerd” ci sarà un perché, no? Tipetti simpatici dalle abitudini ancor più simpatiche: amanti del fantascientifico, del fantasy, della cultura videoludica, amanti dell’animazione nipponica, delle serie televisive e chi più ne ha più ne metta. Siamo quei tipi capaci di comprare una statuetta di un tizio/a figo/a e cazzuto/a, di metterla in bella vista su uno scaffale e ammirarla in religioso silenzio, felici ed appagati. Siamo quei tipi che andrebbero nel paese del Sol Levante, piazzarsi nel parco di Odaiba e beccarsi molto volentieri tre o quattro giorni di carcere ed un’estradizione per essersi arrampicati su una statua di un Gundam scala 1:1 – ma quando mi ricapita?!. Si, siamo tipi genuini e dalle passioni davvero variopinte. Ma da sempre una di queste ci ha marchiato per generazioni. Che siano americani, italiani, giapponesi, coreani, francesi, belghi, a noi importa davvero poco; noi nerd siamo il fulcro, il cardine in cui gira quella forma d’arte pop, un po’ avanguardista, un po’ retrò, consolidatasi ed affermatasi ormai da quasi mezzo secolo: il FUMETTO.
Che sia arte a tutti gli effetti, non ci sono dubbi. Ma non siamo qui per fare excursus ciceroniani sulla storia del fumetto; e tanto meno non siamo qui ad elargire consigli su cosa si debba leggere o preferire, perché si sa, noi nerd siamo dei tipetti molto selettivi. Sappiamo già cosa vogliamo leggere, in che mondo vogliamo perderci e immergerci ancor prima di aver messo mano all’opera. Le scrutiamo, le osserviamo e, magari, ci documentiamo anche, per scoperchiarne il contenuto, per carpire quale sia stata la fonte d’ispirazione dietro a quel pazzo e visionario dell’autore.
Come Hugo Pratt che diede vita a quell’eccentrico marinaio maltese per dar sfogo a quel suo grande desiderio di prendere il largo in un oceano esotico, anche noi ci perdiamo in un mare di avventure intrise di ogni sorta di epicità e bizzarria. Insomma, ogni pretesto è buono per perderci in qualcosa di alieno a noi o, viceversa, qualcosa di familiare e rassicurante. Dalle poetiche avventure di Corto Maltese, al mistero e all’occulto diDylan Dog di Sclavi; dalle avventure erotiche di Valentina di Crepax, alla prorompente sessualità iconografica dell’arte di Manara.
Che siano seinen o shonen, che siano i celeberrimi supereroi Marvel o DC, che siano gli “anti eroi” come Jeckie Estacado della Top Cow o che sia tutt’altro da questo confusionario elenco, a noi non importa e non deve importarci. Una piccola nota stonata, però, si trova sempre. Si sa, ormai si predilige l’uso della rotella e dei tasti del mouse per leggere un qualsivoglia fumetto o manga. Si è perso quel piccolo ed infinitesimale gesto di recarsi in un’edicola o in una fumetteria, respirare a pieni polmoni l’odore della carte e perdersi nella scelta del volume o dell’edizione da acquistare o che si cercava già da tempo. Siamo nell’era del digitale è vero, ma certi retaggi, certe piccole tradizioni dovremmo continuare a conservarle, a viverle per la prima volta o a riviverle se stavamo per dimenticarcele. Quindi, cari nerd, se avete un attimo di tempo, uscite di casa, sgranchitevi le gambe e passate dalla prima fumetteria che vi capita a tiro ed entrandoci, fate un bel respiro, perché quello che sentirete sarà l’odore di un’arte che ci ha segnato nel profondo. Non abbiate paure di tagliarvi un dito con la carta, ne potrebbe valere la pena.
Forse sarebbe stato meglio non scrivere nulla sull’argomento. Troppi ricordi e troppi rimorsi sui tempi che cambiano, credetemi.
Il titolo di questo nostalgico editoriale parla da sé e, inesorabilmente, si fa un tuffo nel passato lungo 20 anni.
A quei tempi sui videogiochi ne sapevo poco o nulla – fuorché qualche cartaccia random per Sega Mega Drive e SNES o qualche immagine vista in qualche giornale di settore – e, dopotutto, da un bambino ci si aspettano gusti molto semplici: Dragon Ball ad oltranza, spade, cavalieri e dinosauri.
Sembra tutto calcolato, già!
Un gioco (JRPG, per la precisione) con i disegni identici a quelli dell’anime simbolo della nostra generazione, ma con una trama fiabesca, combattimenti per l’epoca spettacolari ed un personaggio muto, con i capelli rossi con le fattezze del nostro caro Son Goku.
Insomma, è stato amore a prima vista, credetemi Nerd!
Chrono Trigger è stato un titolo pubblicato dall’allora dolcissima e premurosa mamma Square per l’inarrestabile console casalinga Nintendo SNES nel 1995 riscuotendo un successo immenso tra i giocatori di tutto il mondo ed, in particolari, tra gli amanti della serie principale della software house, Final Fantasy, essendo infatti Chrono Trigger un suo “cugino” non troppo lontano.
Parlare di questo titolo non è affatto facile, dovendo misurare attentamente le parole e chinare fin da subito il capo per i nomi quasi sacri che stanno dietro lo del gioco.
Stiamo infatti parlando di un prodotto frutto delle menti del Dream Team, un team di sviluppatori composto dal nostro affezionatissimo Hironobu Sakaguchi (papà di Final Fantasy), Yuji Horii (director della serie Dragon Quest), il mangaka Akira Torijama – non penso debba aggiungere altro, giusto? -, il compositore storico di casa Square Nobuo Uematsu, Yasunori Mitsuda e, dulcis in fundo, lo sceneggiatore Masato Kato che, solo in seguito, diventerà famoso per Xenogears e Xenosaga.
I nomi, per i fan affezionati, fanno tremare la terra ed infatti il risultato è stato più che soddisfacente.
Chrono Trigger narra le vicende del giovane Crono, personaggio taciturno e con una stravagante chioma rossa, e del suo incontro, durante la Fiera del Millennio che si svolge nella sua città (Truce), con Marle, una misteriosa ragazza che si rivelerà la principessa del Regno di Guardia.
Durante la fiera, Crono e Marle verranno accidentalmente catapultati indietro nel tempo in un passato remoto a causa di un’interferenza che ha colpito la macchina del tempo di Lucca, amica d’infanzia di Crono, ed in seguito scopriranno la presenza di un mago del passato che vuole risvegliare un’oscura minaccia intenzionata a distruggere il pianeta.
Potremmo stare ore intere a parlare della trama che sta sotto questo titolo, ma evito di farvi spoiler, cari lettori.
Chrono Trigger, oltre a vantare una trama particolarmente accurata e, per certi versi, molto complessa ed a tratti confusionaria, presenta una caratterizzazione dei personaggi davvero ben fatta; basti pensare che lo stesso Crono, per essendo muto, riesce a trasmettere nei suoi sprite ogni singolo sentimento ed espressione emotiva, passando da movenze buffe e goffe ad un capo chino in una mise che fa trasparire perfettamente uno stato di dolore, inquietudine ed amarezza.
Gli altri personaggi che imbastiscono le vicende sono perfettamente caratterizzati al punto tale da far affezionare il giocatore, entrando in un rapporto intimo con le loro certezze, le loro insicurezze e facendo vivere quasi in prima persona le vicende personali e le remore che tormentano il singolo personaggio, indipendentemente dai fatti che interesseranno l’intero party.
Punto forte del titolo – tanto per rimanere nell’ambito dello sviluppo degli eventi – è proprio la possibilità di modificare gli eventi a seconda delle scelte che il giocatore intraprenderà durante l’avventura.
Infatti, oltre alla possibilità di viaggiare tra varie epoche storiche (dalla preistoria al passato prossimo, dal futuro all’età degli Antichi) e modificare intere porzioni di trama deviando il flusso spazio-temporale degli eventi, potremo scegliere inoltre ed in totale libertà di porre un condotta piuttosto che un’altra, uccidere un npc oppure no così da modificare il finale del titolo (in Chrono Trigger i finali sono ben 13!).
Sarebbe adesso il caso di toccare il punto fondamentale di qualunque titolo – insieme alla trama ovviamente -, vale a dire il gameplay.
Essendo non solo un jrpg ma anche il cugino prossimo di Final Fantasy, sappiamo già a proprio a cosa andiamo incontro. Il personaggio si muoverà in scenari prerenderizzati, variando da villaggi e dungeon alle “mappe del mondo” che muteranno a seconda dell’epoca storica in cui ci troveremo (anche se, a differenza di FF, non si incontreranno mostri durante l’esplorazione di queste ultime).
Piccola – ma, in fondo, grandissima – differenza rispetto a FF sta nell’assenza dei fastidiosissimi incontri casuali. I nemici, infatti, non compariranno magicamente e quando meno se li aspetta, ma saranno ben visibili sulla mappa di gioco, dando la possibilità al giocatore di evitare tranquillamente scontri superflui e andare dritto per la propria strada.
Il sistema di combattimento è, ovviamente, figlio del suo tempo e del suo genere, con combattimenti a turni che presentano però grande dinamicità. I nemici non staranno fermi e statici nella loro posizione, ma si sposteranno all’interno dell’area di combattimento, dando la possibilità al giocatore di sferrare colpi multipli a più bersagli a seconda, appunto, della loro posizione e della loro prossimità ad altri nemici.
Oltre a colpi singoli e magie (che saranno solo successivamente sbloccate dal giocatore) si avrà la possibilità di attaccare con più personaggi nello stesso turno, unendo due tecniche speciali di tipo fisico oppure prettamente magico, sfruttando la potenza fisica di un personaggio con l’aggiunta di effetti addizionali elementali.
La magia però è una piccola seccatura all’interno del titolo.
Se in FF avremmo uno o due personaggi addetti all’uso della stessa, vantando un vasto ventaglio di magie di vario genere (bianche, nere, blu e via dicendo) da utilizzare, in Chrono Trigger ogni personaggio avrà a disposizione poche magie e, inoltre, saranno legate al proprio elemento naturale (es. Crono lancerà solo magie di tipo fulmine, Marle di tipo gelo, Magus di tipo oscuro etc.), costringendo spesso il giocatore a pianificare una strategia ben precisa, facendo variare i personaggi dentro il party. Ma se le magie lasciano un po’ a desiderare, le tecniche speciali invece vi lasceranno pienamente soddisfatti; essendo moltissime e, come detto sopra, varie anche nelle combinazioni con quelle dei vostri alleati (i personaggi giocabili saranno infatti sei, con l’aggiunta di un settimo a seconda delle scelte di trama).
Il sistema di controllo ed equipaggiamento è molto semplificato rispetto a molti altri jrpg, avendo a che fare solo con armi, cappelli, armature ed accessori e con un numero davvero esiguo di statistiche da controllare e che, tra l’altro, saranno riassumibili in “attacco” e “difesa” che aumenteranno o diminuiranno a seconda del level up e degli equip indossati.
Un gioco bello, godibile, avvincente, con colonne sonore immortali e con una trama fiabesca (con tanti riferimenti biblici in puro stile Square) che farà riaffiorare splendidi ricordi ai giocatori vecchio stampo o riuscirà a coinvolgere le nuove generazioni di videogiocatori.
Cari nerd, abbiamo mosso per un po’ le lancette di questo orologio quanto basta per rivivere quelle gioie d’infanzia che – ahimé – non torneranno più, ma che ci porteremo sempre dentro insieme a quei canonici insegnamenti che solo queste fiabe interattive sanno regalarci.
Ad oggi, Chrono Trigger è presente non solo su cartuccia SNES, ma anche in una versione per Playstation 1, per Nintendo DS e in digitale per smartphone iOS ed Android; insomma, non avete scuse. Recuperate questa pietra miliare del gaming testate voi stessi la sua nomea di “uno dei migliori rpg di tutti i tempi”.