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Hearthstone: Perché ha fatto il boom

By NerdPensiero

Articolo a cura di Mirko Manzella.

Se mi avessero detto che, un giorno qualunque di una torrida estate, avrei iniziato a giocare ad un gioco di carte collezionabili, probabilmente mi sarei fatto una grassa risata.

Parla uno che odio questo genere di cose.

Magic, Pokémon, Yu-gi-oh e compagnia bella; li odio tutti.

Stare dietro a mazzi, regole complicate, collezionismo e tutto quello che gira intorno non fa proprio per me.

Però, cari Nerd, stranamente è successo: ho iniziato a giocare un gioco di carte collezionabili che, inoltre, è riuscito a prendermi veramente tanto.

Non stiamo parlando di un gioco come tanti, ma di quel Free to Play della Blizzard che ha stregato mezzo mondo – e forse gli sviluppatori stessi non se lo aspettavano.

Hearthstone: Heroes of Warcraft è sicuramente il gioco di carte che nessuno si aspettava (specialmente conoscendo i titoli delle Blizzard) e che, in poco meno di un anno dalla sua uscita, ha raggiunto un successo planetario, appassionando anche il sottoscritto.

Ma dove sta il motivo di tanto successo? Specialmente se i suoi predecessori (parliamo di titoli distribuiti in tutto il mondo dalla casa sviluppatrice che si è distinta proprio per il suo genere di giochi) sono World of Warcraft,Starcraft e Diablo.

Vediamo insieme i 10 motivi per i quali Hearthstone ha fatto così tanto successo, riuscendo anche ad appassionare quella fetta di giocatori che, di carte, non ne vogliono proprio saper nulla.

 

  1. E’ Gratis

 

Il fatto che sia un Free to Play aiuta tantissimo la diffusione del titolo. Tutti possono averlo in qualunque momento e senza spendere un solo centesimo se non lo si vuole.

 

  1. Semplice

 

Tra tutti i giochi di carte collezionabili che possiamo trovare in giro, sia online che cartacei, forse nessuno può vantare questo piccolo (ma grandissimo) pregio: Hearthstone è semplice.

Non ci sono carte particolari, regole particolari, meccaniche o set particolari.

Ci sono poche regole semplici e precise che mantengono però una profondità tale per cui un giocatore un po’ più esperto o allenato può, con quelle quattro regole e con tattiche ben precise, riuscire a prendere in mano e vincere la partita.

 

  1. Veloce

 

Un punto a suo favore è sicuramente il fatto che Hearthstone non si perde in chiacchiere.

Le giocate sono veloci e sbrigative (a seconda dello stile del giocatore), dove un certa comminazione di carte può chiudere la partita in pochi turni, senza superare quasi mai la decina di minuti – se non prima, fidatevi.

 

  1. Per tutti

 

Non esiste la skill classica “tastiera-mouse” o joypad; basta veramente un singolo dito per giocare. Molti titoli necessitano di un arsenale informatico di tutto punto o una grande esperienza nel premere i tasti preimpostati della tastiera per riuscire ad ottenere buoni risultati in game.+

Hearthstone può essere giocato senza grandi mezzi, a differenza di molti altri giochi della stessa Blizzard (vedi World of Warcraft o l’ancora in sviluppo Overwatch).

 

  1. Graficamente piacevole

 

Una grafica cartunesca e molto ispirata, con animazioni simpatiche che rendono ogni partita molto piacevole da guardare.

 

 

  1. Non è cartaceo

 

Sembra un controsenso, ma il fatto che il titolo non sia cartaceo rende l’esperienza di gioco ancor più simpatica e piacevole.

Animazioni grafiche sulle statistiche in modo da tenere sempre aggiornati i valori delle carte e distruzione/evocazione dei servitori molto piacevoli da vedere e differenziate a seconda della categoria o rarità.

 

  1. Se sei bravo vinci, se hai fortuna pure

 

Non è un gioco in cui gli abissi fra i giocatori sono incolmabili. Se peschi bene la tua carta ed il tuo avversario no, puoi vincere tranquillamente la partita anche in presenza di dislivelli fra carte (es. leggendaria lui e carte base tu).

Se hai una carta anche di basso livello ma sai come giocarla in sinergia con le altre, puoi vincere.

Insomma, bravura e fortuna aiutano sempre il giocatore.

 

  1. Sbustare piace

 

Aprire i pacchetti è una figata! Lasciando stare il contenuto ovvio (niente carte, niente vittoria) ma vedere quell’alone colorato che ti indica la rarità/importanza della carta è una vera goduria. Se sbustare, in altri titoli, è qualcosa di eccessivamente dispendioso, per Hearthstone no.

La cifra da raggiungere per acquistare una bustina è facilmente raggiungibile anche in un solo giorno, senza dove sborsare una lira.

 

  1. Non è un Pay to Win

 

Puoi avere tutto senza spendere una lira.

Puoi creare un mazzo competitivo senza dover acquistare con soldi reali le buste, potendole recuperare con la moneta del gioco o craftandole nel menù delle collezioni.

Tempo al tempo e si può avere TUTTO.

 

  1. Hearthstone è anche mobile

 

Il titolo può essere giocato su Android ed iOS oltre che Pc.

Devo aggiungere altro?

To the Moon: Quando il cuore batte

By NerdPensiero

Articolo a cura di Mirko Manzella

Probabilmente sono in un ritardo imperdonabile.

Come da titolo, stiamo parlando di un gioco che presenta qualche annetto sulle spalle ed averlo provato solo adesso mi riempie di vergogna – TANTA vergogna.

Tutti lo conoscono, tutti lo hanno giocato e tutti ne hanno parlato fino allo sfinimento.

Ai tempi, non potevo sapere di cosa stessero parlando e, a dirla tutta, me ne sono anche un po’ fregato;

si parla di Indie, la moda del momento, quella che oggi va forte e fa figo il gamer proprio perché “è alternative” e quindi mi sono detto: “No, grazie”.

Poi però arrivano quelle calde serate estive – ancor peggio quando hanno anche il nome di lunedì – in cui non hai davvero nulla da fare: le discoteche sono chiuse, gli amici sono in catalessi, i pub sono troppo poco affollati e tante altre beffe della sorte che non sto qui ad elencare.

Le cose sono due: o mi faccio un Disaronno sour in solitudine, o nerdo come un disperato.

La risposta: Entrambe le cose; ma con un portatile con una infima propensione al videogame, le alternative sono ben poche.

Tra un sorso di Disaronno ed una tiro di sigaretta, ricordo quel famoso “No, grazie” che dissi molto tempo fa in merito a quella categoria tanto in voga di questi tempi e specialmente a quel fantomatico titolo tanto decantato da recensori e giocato da ogni singolo youtuber.

Mi procuro To the Moon, lo avvio, lo gioco, lo gioco ancora; tre ore dopo mi ritrovo con un titolo completato, con gli occhi gonfi e rossi e con rivoli di lacrime sulle guance.

Non era mai successo e pensavo non sarebbe MAI potuto accadere; poi ho realizzato cosa fosse realmente successo.

Non ho giocato To the Moon; l’ho vissuto.

Il gioco, prodotto dalla Freebird Games e realizzato con il sofware “RPG Maker” (potrebbe farlo ognuno di noi, praticamente), si mostra con un comparto sonoro di tutto rispetto, toccante e fortemente inspirato e con uno stile grafico vicino ai classici JRPG dell’epoca d’oro dello SNES (Crono Trigger, Final Fantasy VI, Dragon Quest) ma con un tocco di realismo tangibile.

Non sto qui a parlare delle vicende, poiché rovinerei l’esperienza e cadrei inevitabilmente nello spoiler; anticipandovi solo che la storia gira intorno a due dottori – e nemmeno, ad essere schietti – che lavorano per un’agenzia che riesce, tramite un macchinario molto ispirato all’Animus di Assassin’s Creed ed al concetto di viaggio onirico di Inception, a far rivivere al proprio paziente in punto di morte il suo “ultimo desiderio”, manipolando i suoi ricordi e dando a quest’ultimo la pacca finale prima dell’eterno sonno.

Mi fermo qui.

Le mie dita non digiteranno altro.

Non posso e non voglio. Sarebbe un colpo basso verso voi lettori che, invece, meritereste qualcosa di diverso da una semplice recensione.

Non consideriamola una recensione, questa, semmai mi piacerebbe considerarlo con un “consiglio” sussurrato alle vostre orecchie.

Solo quattro parole, non troppo pretensiose, non troppo anomale: “Giocate To the Moon”.

Tutto qui.

Questo è un titolo che non deve essere visto giocare da qualche youtuber o robe simili; non deve essere letto ed appreso da qualche recensione ciceroniana; non dovreste nemmeno solo giocarlo per passatempo, sarebbe impossibile.

To the Moon riesce a farsi vivere dal giocatore, prima dalla testa e poi, inevitabilmente, dal cuore; facendovi viaggiare dentro voi stessi.

Un gioco che – e non esagero a dirlo – cambia molte cose: il vostro punto di vista, la vostra coscienza, la vostra vita da giocatori.

Non sono un tipo dalla lacrima facile – anzi – ma finire questo capolavoro ha lasciato dentro il sottoscritto un vuoto singolare; un’amara consapevolezza di come il videogioco non sia solo una forma d’arte, ma uno veicolo di sentimento e messaggio introspettivo.

Cari Nerd, giocate To the Moon, vivetelo, finitelo e, una volta fatto, andate a stringere forte le persone che amate.

Ant Man: il piccolo grande eroe

By Film, NerdPensiero

La cultura popolare lo sa da tempo: il vino buono sta nelle botti piccole. La stessa cosa può essere detta di alcuni supereroi.

Ant Man diretto da Peyton Reed è un piccolo gioiello, che fa onore alla tematica supereroistica e alla Marvel Studios. In parte Ocean’s Eleven, in parte Toy Story, con accenni di Assassin’s Creed e elementi alla Monty Pyton, Ant-Man ci regala quasi due ore di puro intrattenimento, con una storia avvincente, divertente e ben strutturata. Non mancano i richiami ai film della Marvel Studios già usciti e i suggerimenti ai film e personaggi ancora a venire, ma già annunciati.

Il film inizia con un giovane Hank Pym (Michael Douglas) che a causa di un non ben specificato incidente lascia lo S.h.i.e.l.d. La storia riprende poi ai giorni nostri dove un vecchio Pym è stato costretto a lasciare la sua società dall’ex pupillo Darren Cross (Corey Stoll). Il dottor Pym recluta allora Scott Lang (Paul Rudd), che nei fumetti è un ladro professionista, mentre nella versione cinematografica è una sorta di Robin Hood informatico del 21° secolo. Lang, che è appena uscito dal carcere diventa così il nuovo Ant Man, allenato da Pym e dalla figlia (Evangeline Lilly) armato della tuta di Ant Man che gli permette di ridursi di dimensione ma di conservare la forza proporzionale di un uomo di dimensioni normali, quindi sovrumane, date le dimensioni ridotte, ma soprattutto di controllare un esercito di formiche.

Pym quindi affida a Lang il compito di rubare l’armatura di Calabrone, versione moderna della tecnologia di Ant Man ed evitare che il malvagio Cross la possa utilizzare per scopi per nulla nobili o eroistici. La pellicola, degna aggiunta ai film prodotti dalla Marvel Studios è una delizia da guardare. La Storia rende su tutti i livelli e le performance degli attori sono eccellenti e credibili. Non mancano i momenti comici, sia da parte del protagonista, che dei suoi comprimari, una nota va spesa per Michael Peña, ottimo attore che, come Paul Rudd, riesce ad alternare ruoli comici a ruoli drammaticamente impegnati o d’azione. Anche l’inserimento nell’universo Marvel è fatto con gran stile e sagacia: l’utilizzo di uno degli Avengers nel film è sia divertente che molto d’effetto. Ant Man è forse il film più riuscito della Marvel Studios dopo Guardiani della Galassia, una pellicola da rivedere più volte con gusto.

I non-così-Fantastici Quattro

By Film, NerdPensiero

Era il novembre del 1961 quando il mondo conobbe per la prima famiglia di supereroi creati dalla fervida mente di Stan Lee: i Fantastici Quattro.

Un gruppo di amici che a causa di un incidente su un razzo sperimentale non schermato propriamente ottennero incredibili poteri che da quel momento utilizzarono per il bene dell’umanità, combattendo contro criminali di ogni genere e contro la loro nemesi più terribile il dottor Destino (Dr. Doom). Questa è sostanzialmente la premessa de i Fantastici Quattro, il primo fumetto della Marvel Comics.

Questo purtroppo non è la storia de i Fantastici 4 il film diretto Josh Trank.

La storia di questo nuovo reboot del franchise (c’erano già stati un film indipendente di scarsa produzione del 90 e un blockbuster del 2005) è un un film deludente e generalmente brutto da guardare.

Non volendo focalizzarsi sul cambiamento razziale di uno dei personaggi principali del quartetto (nei fumetti Jhonny Storm/La torcia umana, biondo con gli occhi azzurri, diventa sul grande schermo un ragazzo Afro-Americano -Michael B.Jordan- fratello di Sue Storm/La Donna Invisibile, che nel film, come nel fumetto è una donna bionda con gli occhi azzurri -interpretata da Kate Mara) Fantastici 4 delude su tutta la linea.

La storia è presa a mano basse dal ciclo di fumetti Ultimate Fantastic Four, dove nei capitoli iniziali, viene re-immaginata la nascita del quartetto: Reed Richards futuro Mister Fantastic, fin da tenera età mosta chiaramente di essere un genio, tanto che a 13 anni, aiutato dal suo migliore, ma non troppo intelligente, amico Ben Grimm scopre ed inventa il teletrasporto, crescendo viene notato da una Fondazione, la Baxter Foundation, che scova e, successivamente, istruisce i geni del futuro. Alla Baxter Foundation Reed Richards conosce Sue e Jhonny Strom e soprattutto Victor Von Doom, l’uomo con cui Reed costruirà un modello più grande di Teletrasporto in grado di trasportare materia organica.

Qui finiscono le similitudini con il fumetto.

Fantastic 4 risulta essere un accozzaglia di cose, che assomigliano a tutto e niente, gli attori, bravi individualmente, risultano troppo poco credibili, sopratutto a causa di un copione che è la versione riveduta e corretta (male) di un lavoro che in origine era bello ed intrigante. Successivamente all’incidente che dona ai 5 (si esatto 5) i loro superpoteri, la storia prende una piega alquanto patetica per chiunque abbia mai sentito parlare dei Fantastici 4, a iniziare da Ben Grimm/La Cosa trasformata in macchina da guerra per conto dell’esercito americano, e dalla torcia umana, diventato una specie di aereo caccia di fuoco dell’esercito.

Piccola nota deve essere fatta su questo dettaglio: é indubbio che oggi hollywood deve necessariamente mettere una “quota nera” nei propri film blockbuster, ma tra i ruoli del film bisognava dare la parte dell’uomo in fiamme ad un Afro-Americano!? Il Ku Klux Klan ringrazia.

Quello che particolarmente dà fastidio de Fantastici 4 è il Dottor Destino, nei fumetti questo personaggio è il dittatore dello stato, fittizio, europeo di Latveria, che a seguito dei un incidente viene sfigurato, egli allora inizia ad indossare un’armatura a metà fra il medievale e l’high tech e giura vendetta contro il mondo e l’uomo che , egli pensa, l’abbia tradito… Reed Richards.

Nel film Destino è anche lui un genio e come gli altri è vittima dell’incidente che gli dona i poteri di un … DIO!?

In quest’ultima incarnazione il dottor Destino, non indossa nessun armatura eppure ha il potere di fare addirittura esplodere qualcuno con la sola forza del pensiero.

Questo film è forse uno dei più grossi flop dopo il Daredevil con Ben Affleck. Forse più che i Fantastici 4 avrebbe dovuto chiamarsi i Mediocri 4

Ode a Robin Williams

By Film, NerdPensiero No Comments

Per quanto sembra stupido, alle volte un attore che ci lascia così all’improvviso, ci lascia un piccolo vuoto.
Questa riflessione mi è sopraggiunta la notte che morì Robin Williams (11 Agosto 2014), quando appresa la notizia ho realmente cominciato a pensare quanto l’attore abbia influenzato il mio comportamento semplicemente facendo (bene) il suo lavoro di intrattenitore.
La mente ha cominciato a viaggiare ed alla fine sono arrivato alla conclusione che esistono tre opere, tre film, che più di tutti mi hanno colpito e mi hanno insegnato qualcosa o hanno esternato una mia passione.
E proprio riguardo l’esternare una mia passione, il primo film interpretato da Robin Williams che mi viene in mente è Good Morning, Vietnam.
L’ho visto per la prima volta intorno ai miei 18 anni e mi ha fatto veramente credere che la radiofonia potesse essere una parte della mia vita.

“Ispirato a un personaggio vero (Adrian Cronauer), è la storia di un disc-jockey, arrivato a Saigon nel 1965, che con le sue trasmissioni radiofoniche divertenti e irriverenti tiene alto il morale delle truppe. Film sul Vietnam diverso dai soliti per il contrasto tra la drammaticità della situazione e la buffoneria dei personaggi che vi agiscono. Storia di un’educazione politica.” (mymovies.it)

La scena che forse sconvolge il film dal punto di vista “radiofonico” è proprio la prima volta che Adrian Cronauer accende il proprio microfono di questa radio, dove solitamente non veniva trasmesso nulla di rock. Ma poi arriva lui, respiro profondo e poi giù con GOOOOOOD MORNING VIEEETNAM!

Troppo?

No. Non è mai abbastanza.

Il secondo film che voglio citarvi è uno di quei film che se non avete mai visto, non dovreste nemmeno salutarmi.
Will Hunting – Genio ribelle
Oscar come miglior attore non protagonista a Robin Williams ed Oscar alla coppia Matt Damon e Ben Affleck per la sceneggiatura (prima che me lo chiedate: no sia Matt Damon che Ben Affleck non hanno mai vinto l’Oscar per una loro interpretazione; Matt Damon non ha più vinto dopo Will Hunting mentre Ben Affleck è riuscito con la regia di Argo).

“Will Hunting, ragazzo di un quartiere povero di Boston con molti piccoli crimini alle spalle, fa le pulizie al MIT (Massachusetts Institute of Tecnology) ed è un genio matematico allo stadio brado. Se lo contendono due adulti colti: l’uno vuol prendersi cura del suo cervello (e del futuro del proprio portafoglio), l’altro del suo cuore. Con l’aiuto di una ragazza innamorata, vince il secondo. Ideato e scritto dagli attori Damon e Affleck, è un film complesso nella sua apparente semplicità (paradossalmente a mezza strada tra Belli e dannati e L’attimo fuggente) che tocca molti temi: l’isolamento; la ricerca di un padre (e di un figlio) tra due persone simili e complementari; il diritto-dovere di liberarsi di un’infanzia infelice; la difficoltà di vivere di un genio o, comunque, di un “diverso” che non vuole farsi assorbire o stritolare dal sistema.” (mymovies.it)

Questo è uno di quei dialoghi che ti cambiano, che ti attraversano.

Questo mi ha fatto credere nell’amore. Forza che troppo spesso sottovalutiamo.

Con buona pace delle World Series e della battuta di Fisk il bassotto.

Il terzo film è facile da capire. Appena appresa la notizia della sua scomparsa sono andato immediatamente a riprendere la foto del professor Keating sopra i banchi.
L’attimo fuggente (titolo originale Dead Poets Society) è uno di quei film che veramente possono cambiarti la visione della vita.

“John Keating, insegnante di letteratura inglese, arriva nel 1959 alla Welton Academy dove regnano Onore, Disciplina, Tradizione e ne sconvolge l’ordine insegnando ai ragazzi, attraverso la poesia, la forza creativa della libertà e dell’anticonformismo. Coraggioso nella scelta tematica, discutibile nella sua poco critica esaltazione dell’individualismo e con qualche forzatura retorica, è una macchina narrativa perfettamente oliata che non perde un colpo sino al finale che scalda il cuore, inumidisce gli occhi e strappa l’applauso. Di suo P. Weir ci mette l’abituale misticismo e la sapiente guida nella recitazione dei ragazzi inesperti tra cui spicca R.S. Leonard sebbene solo E. Hawke abbia fatto carriera. Eccellente R. Williams. Oscar per la sceneggiatura di Tom Schulman. Inatteso campione d’incassi 1989-90.” (mymovies.it)

Non trovo facile consigliarvi un solo monologo, vi consiglierei tutto il film ma su Youtube non è presente.
Uno delle parti più interessanti sicuramente è quella in cui il Professor Robin Williams spiega il perchè sia importante cogliere l’attimo, carpe diem.

“Keating/Robin Williams: «Cogli l’attimo. Cogli la rosa quando è il momento.» Perché il poeta usa questi versi?
Charlie: Perché va di fretta!
Keating/Robin Williams: No! Ding! Grazie per aver partecipato al nostro gioco. Perché siamo cibo per i vermi, ragazzi. Perché, strano a dirsi, ognuno di noi in questa stanza, un giorno smetterà di respirare, diventerà freddo e morirà. Adesso avvicinatevi tutti, e guardate questi visi del passato: li avrete visti mille volte, ma non credo che li abbiate mai guardati. Non sono molto diversi da voi, vero? Stesso taglio di capelli, pieni di ormoni, come voi, invincibili, come vi sentite voi. Il mondo è la loro ostrica, pensano di essere destinati a grandi cose, come molti di voi, i loro occhi sono pieni di speranza, proprio come i vostri. Avranno atteso finché non è stato troppo tardi per realizzare almeno un briciolo del loro potenziale? Perché vedete, questi ragazzi ora, sono concime per i fiori. Ma se ascoltate con attenzione, li sentirete bisbigliare il loro monito. Coraggio, accostatevi. Ascoltateli. Sentite? Carpe… Sentito? Carpe… Carpe diem… Cogliete l’attimo, ragazzi… rendete straordinaria la vostra vita.”

Oppure come non ricordare la lezione in cui invita i propri studenti (e forse anche tutti noi) a salire sopra una cattedra, il perché ce lo spiega benissimo lui stesso: “Sono salito sulla cattedra per ricordare a me stesso che dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse. E il mondo appare diverso da quassù.”

La scena finale. L’atto di ribellione assoluta della classe che ancora è shockata che il professor Keating/Robin Williams debba abbandonare la scuola, probabilmente la scena più famosa.

Però alla fine io torno all”incipit, l’inizio di tutto:
«O Capitano, mio Capitano!» Chi conosce questo verso? Nessuno. Non lo sapete? È una poesia di Walt Whitman, che parla di Abramo Lincoln. Ecco, in questa classe potete chiamarmi professor Keating o se siete un po’ più audaci, “O Capitano, mio Capitano”

“Oh! Capitano, mio Capitano, il tremendo viaggio è compiuto,
La nostra nave ha resistito ogni tempesta: abbiamo conseguito il premio desiderato.

Il porto è prossimo; odo le campane, il popolo tutto esulta.
Mentre gli occhi seguono la salda carena,
la nave austera e ardita.

Ma o cuore, cuore, cuore,
O stillanti gocce rosse
Dove sul ponte giace il mio Capitano.
Caduto freddo e morto.

O Capitano, mio Capitano, levati e ascolta le campane.
Levati, per te la bandiera sventola, squilla per te la tromba;
Per te mazzi e corone e nastri; per te le sponde si affollano;
Te acclamano le folle ondeggianti, volgendo i cupidi volti.

Qui Capitano, caro padre,
Questo mio braccio sotto la tua testa;
È un sogno che qui sopra il ponte
Tu giaccia freddo e morto.

Il mio Capitano tace: le sue labbra sono pallide e serrate;
Il mio padre non sente il mio braccio,
Non ha polso, né volontà;
La nave è ancorata sicura e ferma ed il ciclo del viaggio è compiuto.
Dal tremendo viaggio la nave vincitrice arriva col compito esaurito,

Esultino le sponde e suonino le campane!
Ma io con passo dolorante
Passeggio sul ponte, ove giace il mio Capitano caduto freddo e morto.”
(Walt Whitman)

Il mio Capitano è caduto, perso nella depressione. Suicidato.
Addio Capitano, addio Robin Williams.

Robin-Williams-1

Le 10 Graphic Novel da leggere prima di morire

By Fumetti, NerdPensiero

Pur essendo relativamente giovani, i fumetti sono un’evoluzione di una delle più antiche forme d’arte mai realizzate dall’uomo. Nati ufficialmente nel 1865, con la striscia chiamata The Yellow Kid, i fumetti sono entrati lentamente ma inesorabilmente nella società. Oggi sono accettati come forma d’arte a tutti gli effetti, e non più come “una cosa da bambini”, tanto che alcuni lavori toccano tematiche serie e profonde.

Quindi, che siate dei neofiti, delle nuvole parlanti o lettori navigati, questa è la lista delle Graphic Novel (o libri a fumetti) che vi consigliamo di leggere prima di morire:

 

10. Daredevil: Man Without Fear

Con i testi di Frank Miller e i disegni di John Romita Jr , questo volume racconta l’origine del difensore di Hell’s Kitchen: Daredevil: l’uomo senza paura. La vita del giovane Matt Murdock è stata irrevocabilmente alterata dopo essere stato accecato da delle sostanze radioattive, mentre salvava la vita di un uomo anziano. Come risultato il giovane Matt scoprì di aver acquisito super sensi e super agilità proprio grazie all’incidente che lo privò della vista. Daredevil: the man without fear è il racconto del primo anno di attività di uno dei supereroi più popolari della Marvel Comics. Un fumetto maturo e crudo che rende onore al suo genere.

9. 300

Altro piccolo gioirello dello scrittore/disegnatore Frank Miller con i colori di Lynn Varley, 300 racconta l’eroica impresa dei soldati spartani che combatterono contro l’impero persiano alle Termopili . La storia si concentra su Re Leonida , il giovane soldato Stelios e il narratore Dilios per evidenziare imponente durezza e valore degli Spartani. Il racconto di Miller e l’arte di Varley sono eccezionali, le scene di combattimento sono particolarmente potenti e dirette.

8. V per Vendetta

Scritto da Alan Moore e disegnato da David Lloyd, V per Vendetta è un potente racconto epico sulla perdita della libertà e dell’individualità. Moore ci propone un racconto avvincente delle linee sfocate tra il bene o il male ideologico, in un mondo in cui, le libertà personali e politiche sono inesistenti. Insieme a Watchmen e Dark Knight Returns, V per Vendetta è spesso considerato uno dei  capisaldi moderni dei fumetti che ha reinventato i fumetti per un pubblico adulto e maturo . Scritto come risposta alla politica di destra del 1980 rimane estremamente potente oggi. La storia si svolge in una Inghilterra totalitaria a seguito di una guerra devastante che ha cambiato la faccia del pianeta. Questo incredibile romanzo grafico mette in luce un misterioso uomo in una maschera di porcellana bianca e la sua giovane protetta mentre combattono oppressori politici attraverso il terrorismo e atti apparentemente assurdi.

 7. Kingdome Come

Uno dei più superbi lavori dello scrittore Mark Waid e dell’artista Alex Ross. Ambientato nel futuro della DC Universe, Kingdom Come è una pietra miliare del mondo dei fumetti supereroistici. Trama avvincente, intelligente e realistica, Kingdome Come non ha paura di mostrare al lettore lo scontro tra gioventù ed esperienza, tradizione contro il cambiamento  Questa cupa storia si chiede che cosa definisce un eroe in un mondo inesorabilmente fuori controllo. Superman, Batman , Wonder Woman e i loro coetanei si trovano contro una nuova generazione senza compromessi, e il loro conflitto finale determinerà niente di meno che il futuro del pianeta. Una nota particolare va dedicata alle meravigliose tavole dipinte a mano da Alex Ross.

6. Batman: the Killing Joke

Un classico racconto di Batman da due delle più grandi leggende del mondo dei fumetti. Senza dubbio la storia definitiva sul Joker. Uno dei lavori più belli e influenti del mondo dei supereroi. Una graphic novel ricca di intensi dialogi ritmati, scritti con grande maestria da Alan Moore e disegnati con arte dal pittore Brian Bolland. Il Joker fugge nuovamente dall’Arkham Asylium – e irrompe nella casa del commissario di polizia Jim Gordon, sparando a sua figlia Barbara – l’ex Batgirl – paralizzandola per la vita, per poi rapire proprio Jim Gordon e tentando di farlo diventare pazzo come il Joker stesso.

5. Marvels

Benvenuti a New York. Qui , esseri umani in fiamme camminano o volano per le strade, uomini in costumi coloratissimi scalano palazzi di vetro e cemento come farebbero gli insetti e creature provenienti dallo spazio minacciano di divorare il nostro mondo . Questo è l’Universo Marvel , dove l’ordinario e il fantastico interagiscono quotidianamente . Questo è il mondo delle Meraviglie, questo è Marvels. Scritto da Kurt Busiek e superbamente dipinta da Alex Ross, Marvels ritrae la vita ordinaria in un mondo pieno di superuomini in costume, ma raccontati dal punto di vista dell’uomo comune, che conduce la propria vita senza neanche sapere cosa voglia dire avere un super -potere. Ogni numero, quest’opera è composta da 12 volumi, presenta una varietà di dettagli minuti dei più famosi ed infami eventi del Marvel Universe .

4. Superman Red Son

Scritto dal pluripremiato Mark Millar, e  disegnato dagli artisti Dave Johnson e Kilian Plunkett , Red Son risponde in maniera originaria, alla domanda che tutti i lettori di fumetti e Lex Luthor in primis , si sono sempre chiesti: E se Superman prendesse il controllo del mondo? Ambientato in una realtà alternativa Superman è l’incubo dell’America! Che cosa succederebbe se l’astronave che trasportava Superman si fosse schiantata sul lato sbagliato della cortina di ferro? E se il bambino fosse cresciuto fino a diventare il braccio destro di Stalin? E se il genio folle di Lex Luthor fosse stato impiegato dal governo degli Stati Uniti di sviluppare la propria contromisura contro l’Uomo d’Acciaio, trasformando la guerra fredda in calda ?! Pieno di personaggi storici e di una serie di supereroi familiari , tra cui Batman e Wonder Woman come non li avete mai visti prima , questa superba graphic novel mostra che cosa potrebbe fare realmente l’uomo d’acciaio se davvero volesse.

3. Watchmen

Uno dei capolavori assoluti dello scrittore Alan Moore. Disegnata da un eccellente Dave Gibbons, Watchmen è un giallo intenso e complesso con personaggi indimenticabili, che esplora i temi del potere assoluto, l’amore e la follia del mondo e dei fumetti. E’ l’unica graphic novel ad essere stata inserita in 100 migliori romanzi del Time Magazine. E’ semplicemente uno delle più influenti graphic novel di tutti i tempi. Watchmen ha di fatto ridefinito ciò i fumetti sui supereroi possono essere, creando un mondo indirizzato ad un pubblico adulto, avvincente con una trama labirintica e un colpo di scena finale degna di un romanzo di Sherlock Holmes. Ambientato nel 1980, la storia segue un gruppo eterogeneo di supereroi in costume in un universo alternativo in cui gli Stati Uniti sono ancora nel pieno della guerra fredda con l’Unione Sovietica. Rorschach, un vigilante mezzo psicotico deve convincere i suoi ex compagni di squadra, ormai di mezza età e in pensione, che ha scoperto un complotto per uccidere i rimanenti supereroi – insieme a milioni di civili innocenti … Una volta riuniti, i ‘Watchmen’ superstiti sapranno sufficienti per evitare una apocalisse globale?

 

2. Maus (Maus: A Survivor’s Tale

Maus è l’opera autobiografica di Art Spiegelman . Raccontata utilizzando  l’autore stesso come narratore, Maus è la storia completa di Vladek Spiegelman , un Ebreo polacco , che vive e sopravvivere nell’Europa di Hitler. Affrontando l’orrore della Shoah attraverso animali antropomorfi (gatti/nazisti ed ebrei/topi) Spiegelman cattura la realtà quotidiana di paura nei ghetti ed è in grado di esplorare il senso di colpa, e la straordinaria sensazione di sopravvivenza. Spiegelman, che nel fumetto porta il suo stesso nome: Art, decide di narrare la storia del padre Vladek, per poterla tramandare alle generazioni future, proprio come la sua controparte cartacea, per poterla narrare anche alle generazioni future. Vincitore di un Premio Pulitzer e numerosi altri premi, Maus è un classico contemporaneo di importanza incommensurabile. Decisamente una delle Graphic Novel più importarti di sempre.

1.Batman: Il ritorno del Cavaliere Oscuro

Nessuna storia di Batman è probabilmente più importante di quella di Frank Miller The Dark Knight Returns. Uscito nel 1986, è stato responsabile per il ringiovanimento di Batman come il buio, meditabondo personaggio che conosciamo oggi – e per l’industria dei fumetti nel suo complesso. Batman rappresentava tutto ciò che era sbagliato nei fumetti e Miller si addossò il compito di prendere in mano in cavaliere oscuro e trasformalo da discutibile e ironico personaggio dei cartoni animati per bambini in un eroe de e per i nostri tempi. Questo è il racconto dello sforzo di un uomo torturato per salvare una città sprofondata nel caos. Un vecchio da tempo consumato fisicamente dalla lotta, in conflitto nell’accettare un nuovo Robin, mentre affronta l’ultima generazione di psicopatici, criminali iper-violenti. vecchi nemici, come il Joker e Due Facce e … vecchi amici che si schierano sia al suo fianco che contro. Il Cavaliere Oscuro è un successo su tutti i livelli. Mantiene intatti gli elementi fondamentali del mito di Batman: Robin, Alfred il maggiordomo, il commissario Gordon, e la più classica della galleria dei cattivi del difensore di Gotham. Il libro è un’opera d’arte con disegni crudi e pungenti, ambientazioni claustrofobiche e psichedeliche. Il ritorno del Cavaliere Oscuro è fondamentalmente una grande storia: Gotham City è un inferno sulla terra, bande di strada vagano incontrollate, ma non ci sono più eroi. Il degrado è onnipresente. Un vecchio Bruce Wayne ormai troppo stanco dovrà ancora una volta indossare gli abiti del pipistrello per salvare Gotham da se stessa! Il ritorno del Cavaliere Oscuro di Frank Miller è la storia di come dovrebbe essere Batman in tutto e per tutto.

La filosofia di un Nerd. L’importanza di fermarsi un attimo

By NerdPensiero No Comments

Quante volte ogni giorno siamo costretti a correre, rincorre ed affannarci per riuscire a fare tutto. Non abbiamo mai il tempo di fermarci. Soprattutto in questo nuovo mondo dove siamo costantemente collegati a tutto e tutti (io per primo). Il problema, più esteso nelle nuove generazioni, è che aspettiamo un messaggio su Whatsapp, aggiorniamo la home di Facebook, controlliamo i trend topic su Twitter.

Costantemente.

Non ci fermiamo mai, siamo sempre li a cercare di vedere se la home si è aggiornata o se una persona qualsiasi abbia scritto un tweet. In questo mondo popolato da sempre più Nerd, non possiamo rischiare di uscire senza il nostro smartphone o semplicemente ormai non possiamo fare a meno della connessione internet, presente ovunque. E questa sicuramente è anche colpa della nostra categoria, di noi Nerd che abbiamo sempre bisogno di nuove informazioni, di nuovi video, di nuove prove informatiche in cui misurarci.

Alle volte mi chiedo… Perché non esiste nella vita reale un modo, un codice, un sistema di tasti come CONTROL+ALT+CANC che ci possa permettere di chiudere qualche sessione aperta totalmente inutile?

La gestione del nostro tempo probabilmente è diventato molto più importante, e probabilmente non ce ne siamo nemmeno resi conto.
È la filosofia dei Nerd. La filosofia del sempre connesso, sempre attaccato, senza mai alzare la testa dal cellulare.

Dovremmo studiare la cultura Buddista e la filosofia Zen applicata al mondo Nerd odierno. Lo Zen non vuole spiegarci la “Verità Assoluta” ma semplicemente darci un mezzo per essere felici, secondo i loro canoni che a noi in questo momento non interessano.

La tecnologia ci aiuta ad essere felici? Ci sta bene non colloquiare più con le persone? O pensiamo che così invece siamo sempre in collegamento?

La mia personale riflessione è che dovremmo fare un passo indietro, lasciando alcune delle interazioni digitali che ormai sono radicate, per fare due passi in avanti. Vivendo la nostra vita in felicità, senza essere oppressi dai social.

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Cinema e videogioco: due facce della stessa medaglia?

By NerdPensiero

Articolo a cura di Mirko Manzella.

Viviamo sempre più l’avvicinarsi di quella sottile soglia che separa i medium cinematografici e videoludici. Parliamo di due cose da sempre indipendenti, oppure di due facce che fanno parte della stessa medaglia?

Seriamente: non so da dove iniziare.

Facciamo un leggero salto temporale, magari di una ventina di anni fa. Correva l’anno 1996; ero un tenero pargolo che della vita aveva solo visto le cose belle, tra una Play Station e tanti pupazzetti di Batman e dinosauri di ogni forma – Nerd si nasce, si sa.

Un bel giorno notai che in tv davano il film di Street Fighter. Il giorno più bello che un maschietto amante dei videogame potesse mai desiderare. Insomma, un film su un videogioco per un bambino di cinque anni non poteva che essere qualcosa di meraviglioso. Lo registrai; lo vidi e rividi migliaia di volte totalmente ammaliato.

Poi sono cresciuto, ho sviluppato – come tutti voi lettori – quel senso critico e cinico che ci accomuna un po’ tutti e, rivedendo quel pezzo d’infanzia, ho capito un paio di cose: tra i mali del mondo, ci sta anche la gente che ha prodotto quel film.

Avete capito tutti dove voglio arrivare e, sinceramente, non credo sia il caso addentrarsi dentro un elenco, purtroppo o per fortuna, troppo lungo ed asfissiante di tentativi – malriusciti – di riportare in pellicola i classici videoludici.

Tralasciando il trash in stile anni ’90 di un Super Mario di un Mortal Kombat, il punto è che si sta continuando a giocare su questa categoria anche in tempi piuttosto recenti (o prossimi, per meglio dire). The Last of Us e Assassin’s Creed sono i prossimi titoli a subire la trasposizione cinematografica in un futuro prossimo e la cosa, a dirvi la verità, non mi affatto a genio. Seppure il mondo videoludico, stilisticamente parlando, si sta davvero avvicinando alla riproduzione cinematografica in tutti gli effetti di qualcosa che, in fondo, era nato per essere tutto l’opposto. Non guardo staticamente un protagonista menare a mani basse qualcuno, il protagonista sono io e sono sempre io che meno.

Un concetto semplice ed efficace che pian piano si sta perdendo ed è qui che ci troviamo a fare i conti con il rovescio della medaglia; con il medesimo problema ma capovolto e che, dunque, rende più fastidioso il tutto: da una parte ci ritroviamo un’ industria cinematografia che vuole riprodurre in pellicola un videogioco; dall’altra abbiamo dei videogiochi che sempre più si stanno avvicinando alla mera visione dei fatti e con carente interattività e libertà di scelta.

Sembra un bel paradosso, ma le cose non coincidono affatto.

L’interattività del videogioco è qualcosa che, a ben vedere, si può veramente definire sui generis. Mi creo un personaggio o prendo il comando di uno già bello e fatto e mi “vivo” – ripeto, “vivo” – una sceneggiatura per come più mi aggrada e nei modi che, purché leciti, che più mi aggradano.

Un titolo AAA come Assassin’s Creed – cito questo da portavoce del genere, piaccia o non piaccia – ti da comunque la possibilità di fare un qualcosa per come aggrada a te. Si, sei un assassino e come dice il nome stesso devi assassinare obbligatoriamente qualcuno, ma il come farlo spetta ovviamente a te, seppur con un bel po’ di binari da seguire.

Altro esempio: prendiamo Metal Gear Solid del 1998. Potevi agire veramente come volevi: Stealth puro, azione sfrenata, mix di entrambi, uso di armi pesanti o meno pesanti; insomma, diventavi tu stesso Snake e, ciliegina sulla torta, il tuo modo di agire ti veniva ed approcciarti col gioco ti veniva “riassunto” anche da uno degli antagonisti del gioco – Psycho Mantys, per chi non lo sapesse – rendenti ancor più immerso in qualcosa che, a conti fatti, era “tuo”.

Ora, immaginatevi invece un film su Metal Gear Solid o su Assassin’s Creed – per quest’ultimo ci basterà attendere un paio di anni – e proiettate su quello schermo la vostra anima da giocatore: sarà mai la stessa cosa? Certo che no. Vedere un titolo totalmente spersonalizzato da quel tratto somatico distintivo del genere, l’interazione, non può che far storcere il naso. Snake o Ezio non sono solo due personaggi X di due titoli Y, ma sono anche una nostra estensione, una nostra immagine riflessa che, se presa e costruita in modo “statico e scenico”, perde il suo significato originale. Gettando il sasso su questa forma palese di speculazione – perché, girala come vuoi, altro non è – non voglio di certo ritirare la mano, approfittandone per prendere di prepotenza il secondo problema.

Abbiamo accennato a The Last of Us; un titolo davvero affascinante, bello esteticamente, con una bellissima trama e che ti da l’impressione di vivere in prima persona un film post apocalittico.

Ecco il punto: da una decina d’anni a questa parte – se guardiamo Kojima, anche di più – il videogioco diventa sinonimo di film interattivo.

Tante cutscene, tanti quick time event, tanta grafica pompatissima – pensate un po’ anche le bande nere in 16:9 – ma molto meno gameplay e, di conseguenza, una longevità drasticamente diminuita (anche se ci sarebbero tante altre motivazioni da considerare per quest’ultimo punto).

Tutto sommato, il fenomeno non può considerarsi una vera e propria metastasi del media, dopotutto creare un contenuto filo cinematografico ha i suoi pro.

Va comunque considerato che, però, sempre più titoli stanno puntando all’impatto visivo ed emotivo, tipiche di un buon lavoro grafico e di una signora sceneggiatura, ma trascurano quello che a nostro – a mio avviso – è il fulcro di un gioco: il giocarlo.

Troppe cutscene spesso eterne non possono darmi quel quid in più che invece potevo avere qualche annetto fa.

Molto spesso un npc non moriva come da copione, ma si dava la possibilità al giocatore di poterlo salvare se ne possedeva le capacità; oppure un boss poteva essere sconfitto in modi variegati e non con quick time event e, di conseguenza, lasciando a questultimo una dipartita preimpostata.

Insomma, cari nerd, siamo davanti ad un fenomeno di cinematografia video ludica che, a seconda di quale versante la si veda, non cambia molto lo scenario: lucrare su titoli tripla A costruendoci sopra un film – spesso di serie B, fidatevi – e violentare letteralmente la percezione che noi, poveri giocatori vecchi o giovani, avevo costruito su quel titolo; oppure pubblicare sempre più titoli che, per tendenza e per palesi logiche di mercato, sembrano più colossal hollywoodiani ben sceneggiati che strumenti da divertimento da plasmare sotto la nostre mani.

Dire che qualcosa è cambiato sarebbe superfluo, lo sapevamo già da tempo; ma nulla ci vieta di continuare ad osservare, con grande occhio critico ovviamente, gli sviluppi che le aziende videoludiche ed il loro mercato porteranno dentro le nostre console/pc – e si spera non dentro i cinema.